Clima
I disastri naturali costano 200 miliardi di dollari all’anno
Il sito FiveThirtyEight.com offre una prospettiva inedita sulle catastrofi generate da eventi meteo estremi: i danni economici sono maggiori perché il mondo è più ricco
Le catastrofi naturali costano sempre di più in termini economici a fronte di una diminuzione delle perdite di vite umane. Il blog FiveThirtyEight.com del “guru” delle statistiche Nate Silver ha pubblicato negli scorsi giorni un interessantissimo articolo a firma Roger Pielke junior che, basandosi su dati statistici, invita a guardare con maggiore senso critico alle notizie riguardanti i disastri scatenati da eventi naturali. L’equazione più immediata è quella secondo la quale ci sarebbe un rapporto di causa-effetto fra la maggiore violenza degli eventi climatici e la maggiore entità dei danni economici. Pielke, con un bell’esempio di data journalism, ci dimostra che non è così.
Nell’autunno del 2012 l’uragano Sandy ha fatto 50 miliardi di dollari di danni, una cifra pari (con tanto di correzione dei costi ai tassi d’inflazione) al costo dei disastri naturali nel 1980. In poche ore il secondo uragano più costoso della storia ha provocato perdite economiche pari a quelle che una generazione prima si verificavano in un anno.
In un paio di decenni i costi delle catastrofi naturali sono lievitati da circa 100 miliardi di dollari a 200 miliardi di dollari l’anno. La prima cosa alla quale si pensa è che il dato sia influenzato dalla maggiore violenza delle tempeste, ma i numeri sono la diretta conseguenza di un mondo che diventa globalmente più ricco: si registrano perdite maggiori perché ci sono più edifici e più infrastrutture che possono essere danneggiate da un terremoto, da un’alluvione o da un uragano.
Nel rapporto sul clima delle Nazioni Unite pubblicato nel 2013 si spiega come vi sia stato un incremento delle ondate di calore e di precipitazioni intense, ma come questi fenomeni non siano la principale causa dell’aumento dei costi dei disastri. Grandi disastri come il terremoto di Kobe del 1995 e quello di Honshu del 2011 o come l’uragano Katrina del 2005 portano i costi alle stelle perché danneggiano zone nelle quali sono presenti grandi centri abitati e importanti infrastrutture (vedi la centrale di Fukushima).
Secondo una statistica della compagnia assicurativa Munich Re, gli uragani sono responsabili per il 58% dell’aumento delle perdite di proprietà negli Stati Uniti. Nel 20° secolo il tributo di vite umane ai disastri naturali è progressivamente diminuito: dal 1930 al 2000 la riduzione è stata del 92%. Nonostante questa forte diminuzione alcuni eventi possono avere effetti devastanti come dimostra lo tsunami del 26 dicembre 2004 in cui morirono 225mila persone. Si tratta di un eccezione al trend che vuole una drastica riduzione delle perdite umane a fronte dell’esplosione dei costi dei danni economici. La spiegazione è molto semplice: l’uomo spende di più per proteggere la propria vita e quando si verificano delle catastrofi i costi maggiori sostenuti che gli permettono di sopravvivere si ripercuotono sul piano finanziario. Quando avviene il contrario, cioè il danno economico è relativamente basso, molto spesso il numero delle vittime è maggiore.
L’uragano Sandy (2012) ha fatto 182 vittime e danni per 50 miliardi di dollari, il tifone Haiyan (2013) ha fatto 8000 vittime e danni per 270 milioni di dollari. L’aumento delle perdite di proprietà e beni materiali è il prezzo che si paga per evitare le perdite di vite umane.
Via | FiveThirtyEight.com
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