Acqua
Gli allagamenti a Milano? Sono la diretta conseguenza della cementificazione
I fenomeni piovosi degli ultimi giorni mettono a nudo le responsabilità politiche di chi svende il territorio al migliore offerente
Dodici ore di pioggia e il Seveso è esondato allagando la zona nord di Milano: scantinati colmi d’acqua, viabilità difficoltosa, il sindaco che convoca a Palazzo Marino l’unità di crisi. In cinque ore sono piovuti 60 millimetri d’acqua. Tutta colpa dei fenomeni temporaleschi sempre più violenti?
Questa è la versione che fa comodo a molti. Dare la colpa ai cambiamenti climatici – evidenti e certificabili da numeri e statistiche, senza dubbio – sposta l’attenzione da quella che, almeno per quanto riguarda il nostro Paese, è la causa prima degli allagamenti nelle grandi città: la cementificazione. Milano, Genova, Roma e Torino, nelle grandi città italiane, negli ultimi dieci-quindici anni, fenomeni di questo genere si sono moltiplicati, per frequenza ed estensione, in maniera quasi proporzionale allo sviluppo edilizio.
Il cemento impermeabilizza il territorio e l’acqua è costretta a correre in superficie. Se le quattro città prima citate sono state interessate da fenomeni alluvionali questo lo si deve a un consumo di territorio libero (e dunque permeabile) che viaggia alla velocità di 8 mq al secondo, 252 kmq all’anno. Secondo l’edizione 2014 del rapporto Ispra sul consumo del suolo, Milano è la seconda città più cementificata d’Italia con il 61,7% di suolo occupato, superata solamente da Napoli, con il 62,1%. Dopo Torino – terza con il 54,8% – c’è Pescara con il 53,4% della superficie comunale cementificata. Non è un caso che nel capoluogo abruzzese siano sempre più frequenti allagamenti e problemi connessi al deflusso delle acque dopo i temporali.
Ancora una volta la questione è politica: invece di riconvertire, ristrutturare e riutilizzare il pregresso si preferisce andare “alla conquista” del suolo libero, proprio come sta succedendo a Milano e nel milanese dove un centro fieristico c’era già ma si è preferito speculare su una “grande opera” che non tarderà a rivelarsi un boomerang socio-economico, dopo avere già dimostrato di essere un problema politico-giudiziario.
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