Moda sostenibile
Gucci e H & M a Copenhagen per discutere di moda sostenibile
Si è tenuta la terza edizione del Copenhagen Fashion Summit 2014
Il 24 aprile si è tenuta la terza edizione Copenhagen Fashion Summit 2014 nella medesima giornata in cui si commemoravano le 1300 vittime del Rana Plaza, l’edificio di Dacca crollato e dentro cui erano alloggiate diverse fabbriche tessili che producevano abbigliamento per noti marchi della moda internazionale.
A Copenhagen hanno partecipato anche Gucci e H & M due tra i brand che maggiormente si stanno impegnando per rendere sostenibili le loro produzioni, ossia per non sfruttare le risorse,contenere l’inquinamento e per rispettare i diritti dei lavoratori.
Il summit è tra aziende e privati che hanno in autonomia deciso di auto-regolamentarsi in risposta alle richieste dei consumatori più attenti e più esigenti e anche per rifinire verso l’alto i profitti perché a risparmiare si guadagna. Infatti Marie – Claire Daveu direttore per la sostenibilità del Gruppo Kering proprietario dei marchi Stella McCartney, Gucci, Bottega Veneta e Saint Laurent ha spiegato che la loro aspirazione è di diventare il polo dei marchi del lusso più sostenibili al mondo. I marchi etici in genere non sono attualmente associati all’Alta Moda ma se Daveu ha ragione allora il mercato potrebbe effettivamente cambiare. Daveu, infatti ha annunciato che entro il 2016 Kering sarà pronta per usare pellame che proviene da fonti sostenibili. Altro impegno previsto riguarda la riqualificazione energetica degli edifici per cui Bottega veneta ha vinto il Green Building Council award grazie alla certificazione LEED Platinum. Altri impegni riguardano la produzione di packaging sostenibile.
Stella McCartney che già produce una linea di scarpe e borse vegane ossia da cui sono banditi tutti i derivati animali ha spiegato che intende intervenire sulle modalità di lavaggio dei capi e ha annunciato un accordo con GINETEX – la società che possiede i simboli di lavaggio per il progetto Clevercare ovvero un nuovo sistema di etichettatura che aiuterà a evitare gli sprechi dei lavaggi inutili e a conservare meglio gli indumenti. Insomma meno si lavano i vestiti e meglio è poiché meno lavaggi non usurano i tessuti e consentono di risparmiare acqua ed energia.
Vanessa Friedman che a breve sarà il nuovo critico di moda per il New York Times spiega che l’industria della moda è basata sull’obsolescenza programmata ossia sul fatto che i prodotti, in questo caso i capi invecchiano precocemente e che i designer sono spremuti come limoni e costretti a sfornare 6-8 collezioni all’anno. La risposta dei consumatori è dunque la scelta di acquisto verso quei capi resistenti, durevoli e verso pochi pezzi base.
Via | The Guardian
Foto | Copenhagen Fashion Summit @ Facebook