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Come vivere e morire nell’Antropocene
Secondo Roy Scranton, la realtà dei cambiamenti climatici sta sfidando la nostra fede nella crescita infinita: Se continueremo a pensare che domani sarà come ieri, marceremo ciecamente verso il disastro.
[Questa interessante Ecoquote è tratta da “Imparare a morire nell’Antropocene” di Roy Scranton, saggista ed ex militare della guerra nel golfo. L’ Antropocene, termine coniato dal premio Nobel Paul Crutzen, è l’epoca attuale in cui le attività antropiche stanno pesantemente modificando gli equilibri della biosfera.]
“Quando guardo al nostro futuro – nell’ Antropocene – vedo il mare che si alza per inondare Manhattan. Vedo rivolte peril cibo, uragani e profughi climatici. Vedo l’esercito che spara ai saccheggiatori. Vedo blackouts, porti rovinati, scorie nucleari di Fukushima ed epidemie. Vedo un mondo strano e precario. La nostra nuova casa.
La psiche umana si ribella naturalmente all’idea della sua stessa fine. Eppure durante la storia, le civiltà hanno marciato ciecamente verso il disastro, perché gli umani sono legati a pensare che domani sarà più o meno come oggi; è innaturale per noi pensare che questo stile di vita, questo momento presente, quest’ordine delle cosa non sia stabile e permanente.
Le nostre azioni testimoniano il nostro credo che possiamo andare avanti così per sempre, bruciando petrolio, avvelenando i mari, uccidendo tutte le altre specie, pompando carbonio in atmosfera, ignorando il silenzio dei nostri canarini da miniera in favore dei nostri interminabili tweets robotici del nostro immaginario digitale.
Tuttavia, la realtà dei cambiamenti climatici globali continua a inserirsi nelle nostre fantasie di crescita perpetua, innovazione permanente e energia illimitata, così come la mortalità scuote la nostra fede casuale nella sopravvivenza.
Il maggiore problema posto dai cambiamenti climatici non è come pianificare le guerre per le risorse, come mettere barriere per proteggere le città costiere o quando evacuarle.
Non si tratta di comprare una Prius, firmare un trattato o spegnere l’aria condizionata. Il più grande problema è filosofico: comprendere che la nostra civiltà è già morta. Prima ci confronteremo con questo problema e realizzeremo che non c’è nulla che possiamo fare per salvarci, e prima riusciremo a dedicarci al duro lavoro di adattarci, con umiltà mortale, alla nostra nuova realtà.
La scelta è chiara. Possiamo continuare ad agire come se domani sarà uguale a ieri, diventando sempre meno preparati per i nuovi disastri e sempre più agganciati a una vita insostenibile.
Oppure possiamo imparare a vedere ogni giorno come la morte di quello che è venuto prima diventando liberi di affrontare qualsiasi problema che il presente ci pone, senza attaccamenti o paura.
Se vogliamo imparare come vivere nell’ Antropocene, dobbiamo prima imparare come morire.”
L’immagine all’inizio del post è una delle opere della mostra Anthropocene di Marco Brambilla