Cronaca ambientale
Barbie lavoratrice: liberiamola dallo sfruttamento in Cina
Per chi non conosce la vera storia di Barbie la celebre bambola della Mattel e di cosa si nasconde dietro il plastico e eterno sorriso
Peuples solidaries Ong francese in collaborazione con China Labor Watch (CLW) ha presentato a Rennes davanti il celebre centro commerciale Colombier una installazione particolare: una Barbie è a grandezza naturale confezionata in un gigantesco scatolo ma con l’etichetta Barbie ouvriére e dunque ben diversa da quelle che di solito presentano la versione Hawaii, Ski o ballerina.
Infatti nella versione francese la Barbie è una lavoratrice e prende le etichette di: “sfruttamento”, “salario da miseria”, “lavora senza tutela” e sulla bocca ha un cerotto nero a simboleggiare il divieto per i lavoratori cinesi di essere sindacalizzati e di rivendicare i loro diritti. Gli operai delle fabbriche di giocattoli sono composti nell’80% dei casi da donne con età compresa 15-30 anni perché offrono costi molto vantaggiosi e abbondanza di forza lavoro con assenza di associazioni di tutela.
La campagna è anche online e prevede la possibilità di inviare direttamente a M. Stockton, CEO Mattel una mail in cui gli si chiede di riconoscere un giusto salario.
Spiega Fanny Gallois responsabile delle campagne per Peuple solidaires:
Questi operai lavorano giorno e notte, inalando prodotti tossici e senza alcuna protezione, vivono stipati in dormitori senza materassi.
L’Ong denuncia da almeno 15 anni le violazioni nella filiera del lavoro della multinazionale americana che subappalta la produzione dei giocattoli in Cina.
Lamenta Fanny Gallois:
Quando chiediamo conto su quanto sta accadendo nelle fabbriche, per supportare le indagini, Mattel semplicemente nega i fatti. Eppure sono responsabili, perché sono quelli che impongono i prezzi, le tariffe e le scadenze insopportabili per i lavoratori. Se una bambola viene venduta in media a 15 € in negozio, al lavoratore vanno appena 15 centesimi, un salario insufficiente per la sussistenza.
L’azione giunge per sensibilizzare i consumatori occidentali sul dietro le quinte che esiste nella realizzazione di giocattoli e arriva pochi mesi dopo il crollo del Rana Plaza in Bangladesh che ha ucciso più di mille persone, tutti operai che lavorano per pochi soldi e in condizioni disumate per grandi marchi dell’abbigliamento mondiale.
Via | Madame Figaro , Yeggmag
Foto | Yeggmag