ECOLOGIA
Shell sospenderà le trivellazioni artiche anche nel 2014
La multinazionale ha ridotto i suoi profitti del 71% nell’ultimo trimestre del 2013 ed ora sta riducendo i costi e non intende rischiare un ulteriore fallimento nell’Artico. Iniziano a sentirsi gli effetti del picco di Hubbert?
Buone notizie per tutti quanto hanno a cuore il fragile ecosistema artico: Shell ha annunciato ieri che sospenderà le trivellazioni artiche nel mare di Beaufort e di Chukci a nord dell’Alsaka anche nel 2014.
Nel 2013 la compagnia petrolifera era stata infatti costretta a sospendere le operazioni dopo il grave incidente con la piattaforma Kulluk, arenatasi sulle coste di un parco nazionale (video in alto).
Quest’anno la pausa di riflessione è imposta dalle cattive acque in cui naviga la multinazionale che ha visto crollare i suoi profitti del 70% nell’ultimo trimestre. Come scrive il Wall Street Journal, «dopo 10 anni di tentativi di fare crescere la produzione con progetti a lungo termine sempre più onerosi, Shell si focalizzerà sulla riduzione dei costi», vendendo attività improduttive e pagando meno i suoi dirigenti.
Che cos’è questa se non una velata ammissione degli effetti del picco del petrolio? Sembra che per le aziende fossili sia l’ora della ritirata, per leccarsi le ferite. Fossero un po’ più saggi diversificherebbero il loro portfolio con le energie rinnovabili, ma sembrano davvero inestricabilmente ancorati al loro core business.
In questi stessi giorni una corte federale USA ha stabilito che il governo USA al tempo dell’amministrazione Bush non aveva adeguatamente considerato i rischi ambientali connessi alle trivellazioni artiche quando aveva concesso i permessi per le prospezioni. A settembre la Shell è stata multata per oltre un milione di dollari per aver violato il Clean Air Act (1).
Il fallimento della Shell sta avendo un effetto domino sulle altre multinazionali: il vice presidente della russa Lukoil, ha affermato che le trivellazioni artiche sono tropo rischiose per gli investimenti, la francese Total sostiene che non cercherà greggio nell’Artico perché un incidente sarebbe un disastro, mentre la norvegese Statoil intende dismettere i suoi tentativi polari. La stessa cosa ha affermato ConocoPhillips.
In questo momento di incertezza e di debolezza delle lobby fossili è quanto mai fondamentale che la comunità internazionale faccia sentire la sua voce perchè l’Artico divenga un’area protetta dagli appetiti di militari e petrolieri, come da tempo chiede Greenpeace.
(1) Un milione di dollari è tanto per i comuni mortali, ma per i profitti annui della multinazionale (anche se in declino sono pur sempre 16 miliardi di dollari) è più o meno come per noi offrire un caffè…