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Clima

Fiammata al Centro Olio Val d’Agri, ma per Eni è tutto ok

Episodi di flaring che coinvolgono la fiaccola disicurezza del Centro Oli in Val d’Agri generano preoccupazione in chi abita in zona, ma per ENI è tutto sotto controllo

Periodicamente episodi di flaring che coinvolgono la fiaccola di sicurezza del Centro Oli in Val d’Agri, con elevate fiammate, destano preoccupazione tra i residenti dei paesi limitrofi. L’ultimo episodio si è verificato qualche giorno fa; il penultimo a gennaio quando la fiammata fu accompagnata anche da boati. La foto è stata fatta girare su facebook. L’episodio si è verificato tra le 9 e le 10 di sabato 17 maggio e l’ENI attraverso un comunicato stampa ha fatto sapere:

Eni informa che oggi dalle ore 9.00 alle ore 10.00 la fiaccola di sicurezza del Centro Olio Val d’Agri si è attivata, generando una maggiore visibilità della stessa rispetto alle abituali condizioni operative. L’innalzamento è legato alla temporanea indisponibilità di due compressori. Attualmente la fiaccola è rientrata in condizioni di normale esercizio. Eni conferma che il convogliamento della piccola quantità aggiuntiva di gas in fiaccola non comporta alcun pericolo per le persone e nessun impatto sull’ambiente circostante. Il Centro Olio Val d’Agriha operato e continua ad operare in condizioni di completa sicurezza.

In rete però ho trovato un documento molto interessante firmato proprio da Eni in viene spiegato dettagliatamente il sistema del flaring e quando viene adottato e del perché:

In un giacimento di petrolio, all’olio è quasi sempre associata una certa quantità di metano: i pozzi di più moderna concezione sono predisposti per il recupero del gas, insieme al petrolio, e il gas è quindi un’ulteriore risorsa del giacimento. Tuttavia, il recupero del gas presuppone che vi siano anche le infrastrutture necessarie al suo trasporto ai luoghi di consumo: queste strutture, costose e non sempre facili da realizzare, non vengono messe in opera se le quantità di gas ricavato dal giacimento come prodotto “secondario” sono limitate, in quanto i costi delle strutture sarebbero superiori ai possibili ricavi. Si pone quindi il problema di cosa fare del gas prodotto in eccesso.

Con il termine gas flaring si indica la combustione del gas (senza recupero energetico) attraverso una torcia che svetta, con una fiamma perenne, sulla sommità delle torri petrolifere. Tale pratica ha portato a bruciare ingentissime quantità di gas, con conseguente produzione di enormi quantità di anidride carbonica, ma anche di anidride solforosa e protossido di azoto, che hanno contribuito notevolmente all’inquinamento atmosferico del pianeta. Per rendersi conto del problema a livello planetario, basta osservare la Terra in un’immagine da satellite notturna: i fuochi che ardono in corrispondenza delle principali aree petrolifere sono un’evidenza che non passa inosservata! Si pensi che ancora oggi in Italia (dove questa pratica è molto limitata, sia per il minor numero di giacimenti di petrolio rispetto a quelli a gas, sia perchè si cerca di utilizzare tutto il gas prodotto) ogni anno dal gas flaring viene prodotto 1 milione di tonnellate di anidride carbonica, mentre un Paese come la Nigeria, dove il gas flaring è ancora molto utilizzato, se ne producono qualche centinaio di milioni di tonnellate!

Attualmente, queste pratiche sono soggette a fortissime restrizioni, sia per una questione economica (il gas prodotto può essere venduto e consumato, invece di venire sprecato!) sia, soprattutto, per una questione ambientale. Sulla base del protocollo di Kyoto, sono previsti incentivi per la realizzazione di impianti a basso impatto ambientale che permettano, nel contempo, di non sprecare una risorsa preziosa. Nei Paesi più industrializzati l’abbandono di questa procedura è stato quasi totale ed immediato, poiché il gas prodotto è una risorsa importante e le infrastrutture per l’utilizzo sul posto non sono difficili da realizzare, mentre diverso è il discorso per molti Paesi in via di sviluppo, dove è molto meno sentita la necessità di utilizzare il gas sul posto, mentre elevatissimi sono i costi del suo trasporto altrove.

Eni peraltro conferma le emissioni in aumento proprio in Val d’Agri:
L’andamento in calo delle emissioni nelle installazioni soggette a ETS riguarda tutti i settori, con le sole eccezioni di E&P, dove le emissioni (pari al 6% del totale) risultano in aumento (+31,7% rispetto al 2012) per l’impianto di Val D’Agri.

Annotazioni e spiegazioni che cozzano decisamente con la nota stampa inviata ai cittadini dei comuni limitrofi all’impianto: perché?

Via | Quotidiano della Basilicata
Foto | Isabella @ Facebook

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