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Mose di Venezia: che cos’è e come funziona
Un’opera da 5,5 miliardi di euro, circondata da dubbi e sospetti su efficacia e pericolosità. Ecco che cos’è e come funziona il Mose di Venezia.
Che cos’è il Mose di Venezia? Un’opera che salverà la laguna dalla minaccia dell’acqua alta oppure l’ennesima maxi-speculazione, come fanno pensare gli arresti per tangenti di oggi che hanno coinvolto anche il sindaco della città Giorgio Orsoni? Sulla questione si dibatte da tempo, tanto che già nel 2007 l’Europa aveva messo sotto accusa l’impatto ambientale del Modulo Sperimentale Elettromeccanico, agitando anche il timore che, invece di risolvere il problema, avrebbe potuto al contrario contribuire a peggiorarlo.
Del Mose – o meglio, di un sistema in grado di proteggere Venezia dalla marea – si inizia a parlare nel 1966, dopo la gravissima alluvione che colpì Venezia e altri centri della laguna, in seguito alla quale si annuncio il “preminente interesse nazionale” della difesa dei centri abitati della zona dalla minaccia costante dell’acqua alta e dagli eventi atmosferici eccezionali. Passano però i decenni senza che la cosa si concretizzi in alcun modo, tanto che nel 1984 si decide di affidare i lavori in toto al Consorzio Venezia Nuova. Tra il 1988 e il 1992 cominciano le prime sperimentazioni e viene poi completato il progetto preliminare.
Ci vogliono però altri dieci anni prima che il progetto venga definito una volta per tutta e solo nel 2003 possono iniziare i lavori, con un costo stimato in 1,8 miliardi di euro che nel corso del tempo è salito vertiginosamente, fino ad arrivare alla stima attuale di 5,5 miliardi di euro. Ma dal momento che al previsto completamente dell’opera mancano ancora tre anni, non ci sarà da stupirsi se questo lieviterà ancora. Questo per quanto riguarda qualche breve cenno storico, ma che cos’è tecnicamente il Mose?
Si tratta di 4 barriere e 78 paratoie, dighe mobili in grado di separare la laguna dal mare e di difendere così Venezia da eventi eccezionali e distruttivi sia dal normale fenomeno dell’acqua alta che regolarmente colpisce la città. Le barriere sono in realizzazione alle bocche di porto di Lido, Malamocco e Chioggia, quindi nei tre varchi del cordone litoraneo attraverso i quali la marea si propaga dal mare Adriatico in laguna. Quando la marea è normale, le paratoie rimangono sul fondale, completamente invisibili e senza modificare il flusso del mare; in caso di necessità possono invece alzarsi indipendentemente l’una dall’altra.
La maxi-opera dà lavoro a 4mila addetti e un migliaio di maestranze, e viene considerato un vero volano per l’economia veneta, oltre che un “modello di eccellenza da esportare all’estero” (come è stato detto nella presentazione all’Onu di settimana scorsa). Dopo gli arresti, che tra l’altro si erano già visti nel luglio dello scorso anno, viene da chiedersi per chi soprattutto sia conveniente questa opera. E i dubbi non si fermano all’aspetto economico.
Uno dei primi a opporsi al Mose era stato l’ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari, che aveva definito il tutto una “maxi opera inutile”. E per la verità il timore di tanti non è solo che l’opera sia inutile, ma che possa anche essere dannosa. Scriveva Alberto Vannucci sul Fatto Quotidiano l’ottobre scorso, in occasione dell’innalzamento della prima paratoia:
Si può sintetizzare la critica di fondo all’approccio Mose utilizzando la sapienza di Nassim Taleb nel suo libro “Antifragile”. Nulla è più casuale, imprevedibile, opaco alla nostra comprensione attuale della miriade di fattori che potranno condizionare i futuri equilibri umani e ambientali della laguna veneziana. La soluzione Mose è sbagliata perché è rigida in un universo naturale e di conoscenze in continua evoluzione. E’ scorretta perché vincola a una soluzione fissa e irreversibile – se non a costi altissimi e con tempi lunghi – la risposta un problema di straordinaria complessità come quello di salvaguardare Venezia e la sua laguna. Per questo l’ombra della catastrofe (ambientale ed economica) aleggia dietro al Mose.
Dubbi che vanno insieme a quelle riguardo i costi elevatissimi (l’87% dell’opera è al momento finanziato, manca quindi ancora un miliardo di euro circa), i ritardi, i dubbi sull’onerosità della manutenzione futura, gli scandali e anche i danni ambientali che un’opera tanto invasiva potrebbe causare ai delicati fondali lagunari.