Agricoltura
Che cosa mangeremo quando saremo 10 miliardi?
10 Billion di Valentin Thurn ha aperto la diciottesima edizione del Festival Cinemambiente di Torino
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Non poteva che essere legato al tema del cibo, della sostenibilità globale dell’alimentazione e dello spreco alimentare il film di apertura della diciottesima edizione di Cinemambiente che ha “traslocato” dalla primavera all’autunno per creare un link torinese con Expo 2015.
In un cinema Massimo tutto esaurito, dopo il saluto di Alberto Barbera, direttore del Museo Nazionale del Cinema, e di Gaetano Capizzi, da diciotto anni “anima” della manifestazione, il professor Andrea Segrè ha introdotto i temi del film d’apertura con un monologo sul cibo di oggi e il cibo di domani.
Che cosa mangeremo nel 2050 quando, secondo le proiezioni demografiche, saremo 10 miliardi di persone? A questa domanda cerca di rispondere il regista Valentin Thurn con 10 Billion – What’s on your Plate? un documentario che, in giro per Europa, Asia, Africa e America, cerca di comprendere in quali direzioni dovremo muoverci per poter garantire la sopravvivenza al Pianeta.
Il film si apre in un mercato thailandese dove si vendono insetti fritti. Per alcuni si tratta di immagini scioccanti e disgustose, ma molti specialisti dell’alimentazione sostengono che entro 20 anni il 10% dell’apporto proteico su scala globale verrà fornito proprio da questi insetti.
Il dilemma dell’agricoltura
E l’agricoltura? Thurn cerca di comprendere se l’ingegneria genetica possa essere la soluzione per sostenere la crescente domanda di cereali e vegetali. Nei laboratori di chi controlla le sementi si cerca, per esempio, di migliorare le performance dei semi: alla Bayer CropScience di Gand si tenta di migliorare la resistenza del riso alla salinità delle zone sommerse dalle acque marine. Nella sua indagine, Thurn vola in Asia e scopre che gli ibridi di Bayer non resistono alle inondazioni, mentre le sementi tradizionali ci riescono.
Anche i fertilizzanti minerali, da molti visti come la soluzione a tutti i problemi, generano un surplus di azoto che finisce nelle falde acquifere. “Non possiamo bruciare in un enorme fuoco d’artificio tutte le risorse che abbiamo a nostra disposizione” spiega uno dei contadini che continuano a utilizzare fertilizzanti naturali.
Di fronte alla crescente domanda di cibo, l’agricoltura si trova pressata fra un’agricoltura intensiva e industriale che aumenta la produzione con prodotti che hanno effetti collaterali sugli ecosistemi e la salute e un’agricoltura tradizionale e “bio” che ha una minore redditività (intorno al -25%) e non può, quindi, far fronte all’aumento della richiesta di cibo. Come risolvere questo dilemma?
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L’allevamento fra pratiche intensive e sperimentazioni
Una delle questioni nodali è che cosa mangiamo e non soltanto quanto mangiamo. Il documentario si sposta in India dove il 40% della popolazione non mangia carne, ma dove la crescita economica ha portato a una maggiore richiesta di pollame. Thurn entra in una fabbrica che confeziona circa 7 milioni di capi alla settimana. Il pollame viene suddiviso in due categorie: una deve produrre le uova e viene mantenuta con un regime alimentare sufficiente a farle produrre uova, l’altra categoria è destinata alla macellazione e le viene inoculato un inibitore del senso di sazietà che, facendo mangiare i polli in continuazione, ne aumenta il peso unitario.
Per sostenere gli allevamenti ci vogliono campi di mais e di soia e questa “fame” di territorio porta alla deforestazione e al fenomeno del land grabbing, come ci mostra Thurn nella sua tappa in Mozambico.
In Giappone, invece, l’insalata viene prodotta in fabbriche che consentono 9 raccolti l’anno in un ambiente asettico, con costi elevati che solo un mercato come quello nipponico è in grado di sostenere.
L’indagine si sposta poi in Canada, all’AquAdvantage che produce salmoni transgenici in grado di crescere a una velocità di 5-6 volte superiore a quella normale. Lo stesso tipo di studi si sta ora spostando su ovini e suini. Intanto in Olanda c’è chi sta studiando il modo per produrre carne in laboratorio partendo dalle cellule staminali. Per ora gli hamburger artificiali “costano” 250mila euro, ma l’obiettivo è riuscire ad arrivare all’indistinguibilità con la carne normale e a una produzione su larga scala.
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Thurn ha l’umiltà di porre domande e di mettersi in ascolto cercando le soluzioni. Il suo 10 Billion sposta il cuore del problema a un livello più elevato rispetto alla questione di partenza. Non quanto cibo possiamo produrre in più, ma quanto questo cibo in più possa essere accessibile a tutti, quanto la bilancia delle carenze e degli sprechi alimentari possa essere riequilibrata. La soluzione sembra essere quella di un avvicinamento dei consumatori alla produzione: orti urbani, agricoltura comunitaria e familiare, guerrilla gardening e valorizzazione della produzione stagionale e a km zero sono alcune delle soluzioni per far sì che si possa guardare al futuro senza l’angoscia di non sapere quanto e quale cibo finirà nei nostri piatti.
Foto | Cinemambiente