ECOLOGIA
Uranio Impoverito: vietato da 35 anni, arma fantasma nei conflitti dell’ultimo ventennio
Da decenni se ne conoscono gli effetti nocivi ma non è mai cessato l’utilizzo. A Basra, in Iraq, le nuove generazioni sono segnate dall’esposizione
Vietato dall’Onu nel 1978, con una risoluzione proposta niente meno che dagli Stati Uniti, l’uranio impoverito è diventato l’arma fantasma di alcuni dei conflitti che hanno contraddistinto l’ultimo quarto di secolo. Nonostante si contino ormai centinaia di migliaia di malati di linfoma di Hodgkin in tutto il mondo, questo “veleno”, con il quale i proiettili vengono rivestiti per diventare maggiormente penetranti e nocivi, continua a essere utilizzato e a mietere vittime, non solo fra i militari. Anzi, sono proprio i civili che non dispongono delle opportune protezioni i più esposti agli effetti nocivi della sostanza.
Quando un proiettile all’uranio impoverito colpisce il bersaglio, le nanoparticelle di metalli pesanti non degradabili si depositano nel raggio di alcune decine di metri e si espandono ancor più lontano sotto forma di aerosol. Una volta inalate o assorbite dal corpo le nanoparticelle aggrediscono dapprima il sistema respiratorio e successivamente gli altri apparati scatenando tumori, leucemie e linfomi e deformazioni nei figli degli ammalati.
Un incubo che è incominciato dopo la prima Guerra del Golfo, quella in cui gli Stati Uniti scaricarono su Kuwait, Iraq e Arabia Saudita 286 tonnellate di Uranio Impoverito. L’eredità di quel conflitto furono le decine di migliaia di ammalati di quella che venne ribattezzata la “sindrome del Golfo”. Nelle alte sfere degli eserciti occidentali molti sanno e tutti tacciono. L’UI continua a essere utilizzato nella missione Restore Hope in Somalia (1993) e anche dalle forze Kfor (Kosovo Force). Stavolta però c’è una differenza: mentre gli eserciti più evoluti (Usa, Olanda) si attrezzano, i nostri militari vengono mandati allo sbaraglio, senza alcuna protezione. E i malati sono tanti, troppi.
Le raccapriccianti immagini delle deformità dei neonati e le storie dei militari impegnati in una solitaria lotta per la sopravvivenza non raggiungono i media mainstream e faticano a trovare spazi anche negli spazi di controinformazione. Eppure i numeri sono uno schiaffo a ogni forma di scetticismo: 305, finora, le vittime dell’uranio in Italia, oltre 3000 gli ammalti di cui 30 versano in gravi condizioni.
Il problema, però, è globale. Qualche settimana fa il magazine tedesco Der Spiegel ha raccontato il dramma di Basra, città irachena nella quale si è ormai perso il conto dei casi di aborti e di neonati affetti da cancor, deformazioni e cecità. Tra il 1994 e il 2003 il numero di aborti a Basra è aumentato di sette volte: 23 bambini su mille nascono morti, una percentuale molto simile a quella che si registra a Falluja.
Anche nelle città dell’ex-Jugoslavia bombardate negli anni Novanta le malattie sono aumentate ed è molto probabile che nel futuro prossimo il problema si riproponga in Libia e in Siria. Perché l’uranio impoverito non è soltanto un arma letale: è anche il modo per trasformare in guadagno l’ingente voce di spesa di un’industria del nucleare priva di scrupoli.
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