Ecomafie
Uranio impoverito: in Italia 3.761 ammalati e 305 vittime della guerra che ti resta addosso
Uno studio dell’ISS dimostra i rapporti causa-effetto dell’esposizione
La sentenza è stata pubblicata venerdì scorso sul sito dell’Osservatorio Militare, il punto di riferimento per tutti gli italiani che in questi anni hanno intentato una causa contro il Ministero della Difesa o contro l’Esercito Italiano per la mancata applicazione delle norme necessarie a garantire la salvaguardia della salute dei soldati a contatto con l’uranio impoverito: il Tribunale di Salerno ha accettato il ricorso di un militare nei confronti del Ministero della Difesa ritenendo fondate le prospettazioni della difesa del ricorrente.
La sentenza racconta la storia di un Sottoufficiale dell’Esercito Italiano facente parte delle missioni internazionali “di pace” in Bosnia Erzegovina (gennaio-maggio 1996), Kosovo (luglio-novembre 2000 e novembre 2001-marzo 2002) e Afghanistan (febbraio-giugno 2005). Racconta di una neoplasia microscopica di tipo papillare alle cellule renali, di depositi IGA con ipertensione arteriosa e di una tiroidite di Haschimoto, infine, di una causa di servizio per il riconoscimento dei “benefici previsti per le vittime della criminalità organizzata e del terrorismo” intentata nel 2008 e respinta in data 23 luglio 2009 con parere negativo del Comitato di verifica per le Cause di servizio.
Nonostante la presenza del militare in tre teatri di guerra dove è stato fatto un uso indiscriminato di armi con uranio impoverito, sul parere espresso dal suddetto Comitato si legge: “dall’esame degli atti non si evidenziano condizioni ambientali ed operative di missione comunque implicanti l’esistenza od il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti d’Istituto e che si pongono quale causa ovvero concausa efficiente e determinante dell’infermità in questione”. Detto in poche parole: l’esercito non ha alcuna responsabilità, non vi è alcun rapporto di causalità fra missioni e malattia.
Nonostante i casi accertati di militari contaminati da uranio impoverito siano – secondo l’Anavafaf (Associazione nazionale italiana assistenza vittime arruolate nelle forze armate) – 3.761 l’Esercito Italiano continua, quando è possibile, a negare. A negare che, per esempio, non furono usate precauzioni nemmeno quando si combatteva al fianco degli eserciti statunitensi e olandesi i cui i soldati erano coperti da capo a piedi anche con 40° C. A negare che a essere esposti non siano stati solo i militari, ma tutti coloro che hanno operato nelle “missioni di pace”, compresi i volontari delle associazioni no profit e gli infermieri e i dottori della Croce Rossa.
I negazionisti non mancano, poiché l’uranio impoverito è una sorta di metempsicosi economica capace di trasformare una voce di spesa (le scorie radioattive) in una voce di guadagno. Per l’industria del nucleare è business su business. Eppure ci sono dei dati scientifici ai quali di fronte ai quali le tesi negazioniste diventano inconsistenti e sono quelli, per esempio, di uno studio condotto dai laboratori di Fisica e di Epidemiologia e Biostatistica dell’Istituto Superiore di Sanità. Uno studio che spiega come su 5,08 casi di morbo di Hodgkin attesi in una popolazione di 100mila persone, fra i militari italiani presenti nelle missioni in Bosnia e Kosovo i casi osservati siano 12, ovverosia il 236% dell’attesa. Un fatto non uno slogan che, purtroppo, rischia di essere un’approssimazione per difetto.
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