ECOLOGIA
Gas serra, il pericolo delle 14 “bombe di carbonio”
Un dossier di Greenpeace accusa: a rischio l’intero pianeta da qui al 2020
Un dossier pubblicato in anteprima quest’oggi da Greenpeace International rileva che se la produzione mondiale di carbone si espande come da previsioni, entro il 2020 assisteremo ad un immissione in atmosfera di oltre 6.3 miliardi di tonnellate di Co2.
Il “Punto di non ritorno”, come l’ha definito Greenpeace, porterà ad un aumento del 20% delle emissioni mondiali di Co2 provenienti dai 14 grandi progetti per combustibili fossili in programma da qui al 2020, in gran parte ubicati in Cina ed Australia.
Il dossier, che disegna un quadro futuribile dai toni foscamente inquietanti, è stato redatto grazie alla società di consulenza Ecofys e punta ad informare sull’impatto climatico di queste 14 “bombe di carbonio” che potrebbero aumentare di 5-6°C la temperatura mondiale, in barba a quell’obiettivo internazionale di mantenere nei 2°C la temperatura del pianeta.
I costi saranno ingenti: miliardi spesi per far fronte alla distruzione di eventi meteorologici estremi, indicibili sofferenze umane e la morte di decine di milioni di persone saranno gli effetti di questo surriscaldamento entro il 2030
si legge sul sito di Greenpeace.
In particolare il rapporto si concentra sui due colossi del carbone: Cina e Australia. I principali siti di produzione di carbone cinesi si trovano nel nord-ovest del paese: l’obiettivo del governo è di aumentare la produzione di 620 milioni di tonnellate entro il 2015, generando così ulteriori 1,4 miliardi di tonnellate di gas serra ogni anno.
Di fronte alla Cina anche i giganti sembrano nani, ma la grande isola dei canguri non è molto sottodimensionata rispetto al colosso cinese: l’Australia infatti vanta una fiorente industria carbonifera (a livello di esportazione detiene, ad oggi, il primato mondiale) e si trova al secondo posto per per il suo potenziale di crescita, che punta ad un tetto di 408 milioni di tonnellate l’anno di carbone esportato entro il 2025, con il conseguente aumento di ulteriori 760milioni di tonnellate l’anno di Co2.
Ma non sono le uniche criticità rilevate: lo sfruttamento prossimo venturo delle riserve di petrolio e gas nella zona Artica potrebbe rilasciare in atmosfera fino a 520milioni di tonnellate di gas serra l’anno, cifra che potrebbe aggravarsi con la fruibilità di nuovi combustibili fossili, come le sabbie bituminose in Canada e il gas scisto negli Stati Uniti.
Le analisi contenute nel dossier dimostrerebbero che, qualora le 14 bombe di carbonio venissero disinnescate, nel caso cioè si rinunciasse a questi progetti, il picco di emissioni avverrà nel 2015 per poi abbassarsi in media del 5% ogni anno; tuttavia
L’industria dei combustibili fossili si sta diversificando per trovare nuovi modi per estrarre risorse naturali, spesso con modalità tossiche e pericolose: si tratta di un ultimo disperato tentativo operato da queste multinazionali per tutelarsi e tutelare i propri interessi messi a rischio dai cambiamenti nel mercato dell’energia
sostiene Georgina Woods, attivista australiana di Greenpeace. Questa relazione arriva tuttavia in un momento storico molto particolare, in cui la Cina ha finalmente ammesso, recentemente, i gravi problemi correlati all’inquinamento ed ai cambiamenti climatici mentre l’Australia mette in campo megalitici progetti di energia verde.
Via | Greenpeace International
Foto | Greenpeace International