Inquinamento
Emergenza rifiuti di Roma, il Noe: gli impianti del Lazio sottoutilizzati, tecnici della Regione lacunosi
Secondo il Noe gli impianti del Lazio sono sottoutilizzati e la Regione ha mentito. Di nuovo.
Secondo i carabinieri del Noe, inviati dal Ministro dell’Ambiente Corrado Clini a controllare gli impianti di Trattamento meccanico biologico sul territorio laziale (che stanno aiutando la città di Roma a fronteggiare l’emergenza rifiuti, trattando 1200 tonnellate di immondizia ogni giorno), non tutti i gestori avrebbero detto la verità sulle reali capacità di trattamento di tali impianti.
Nessuno dei dieci impianti controllati dal Noe tratterebbe i rifiuti al 100% della propria capacità: tutti si manterrebbero al di sotto del tetto massimo di produzione stabilito dai tecnici in base a grandezza e requisiti tecnici.
Il Ministro Clini aveva inviato i militari proprio perchè amministrazioni locali, gestori e cittadini lamentavano già la totale piena attività dei 10 impianti sparpagliati nel Lazio, sostenendo di non poter saturare il loro territorio con i rifiuti provenienti da Roma e Città del Vaticano: ma secondo il dossier consegnato dal Noe al ministro venerdì pomeriggio le cose non starebbero esattamente così.
Chi più chi meno, tutti i gestori non lavorano al 100% della capacità impiantistica ma non solo: il quadro disegnato dai carabinieri mostra anche lacune piuttosto grossolane da parte dei tecnici della Regione Lazio, che il 28 dicembre scorso hanno fornito al prefetto Goffredo Sottile (commissario straordinario all’emergenza) una lista con tutti gli impianti di Tmb del territorio regionale nei quali sarebbe stato possibile trattare i rifiuti di Roma, in attesa che quelli di Ama e Co.La.Ri. funzionassero a pieno regime.
Gli stessi tecnici, o meglio dello stesso dipartimento, che hanno fornito la lista al fu commissario straordinario Giuseppe Pecoraro (sostituito da Sottile lo scorso anno) con i sette siti papabili per una nuova discarica: a questo punto, in Regione c’è qualcosa che non va.
Se tre indizi fanno una prova, in questo caso il sospetto è quantomeno fondato: secondo il Noe l’impianto di Castelforte, ad esempio, non sarebbe un impianto Tmb ma Tm (in grado di trattare solo la frazione secca dei rifiuti, che a Roma finiscono praticamente tutti, carta, plastica e vetro a parte, nello stesso secchio); c’è poi il caso Paliano, dove la struttura, sempre secondo il Noe, è adatta ad accogliere Cdr (combustibile da rifiuti, quello che alimenta gli inceneritori) e non Rsu, rifiuti solidi urbani, da trattare come previsto dal decreto Clini.
Tuttavia va sottolineato che nella relazione del Noe non sono presenti ipotesi di reato, essendosi i militari limitati ad esporre le problematiche tecniche riscontrate
Ma non ci stanno gli enti locali:
Potenzialità teorica non corrisponde a effettiva possibilità sia per carenza di maestranze che per mancanza di tecnologia. E’ l’organizzazione del lavoro che non consente di trattare un quantitativo maggiore, oltre ai connessi problemi di viabilità: i camion, che portano rifiuti, per ragioni igienico-sanitarie, non sono idonei a portare indietro cdr e parte residua. Ciò significa che il camion che porta i rifiuti da trattare, poi non potrà riportarli indietro. Per farlo ci vorranno altri due camion, uno per il cdr e uno per la parte residua. Tutti questi camion creerebbero problema all’impianto stesso.
ha spiegato il sindaco di Colfelice (Fr) Bernardo Donfrancesco all’Adnkronos, scoprendo parzialmente gli altarini e portando nuove motivazioni; stando alle dichiarazioni del sindaco dunque i problemi non sono relativi alla capacità degli impianti (come inizialmente si sosteneva, e come è scritto nel ricorso al Tar del Lazio che enti locali e cittadini hanno presentato contro il decreto Clini) ma ad altro.
Il problema per Clini e Pecoraro è duplice: rompere il muro clientelare tra gestori ed pubbliche amministrazioni e abbattere l’altro muro, quello elettorale, che in tempi di campagna politica non fa altro che aggravare una situazione che tende al collasso inevitabile; tuttavia l’amministrare i rifiuti come problema di ordine pubblico in stato d’emergenza non può che portare ad una militarizzazione del problema, come sta avvenendo dai primi di gennaio, e le “conseguenze napoletane” che abbiamo visto negli anni scorsi.