ENERGIE
Tempa Rossa, la carica giapponese nella corsa all’oro nero lucano
La multinazionale petrolifera Total ha ceduto alla giapponese Mitsui&Co Ltd il 25% del giacimento Tempa Rossa, facendo entrare i giapponesi nella corsa all’oro lucano
Nel cuore della Regione Basilicata c’è Tempa Rossa, un vasto giacimento petrolifero scoperto nel 1989 e divenuto la El Dorado d’Italia per le multinazionali, considerato da Eni e Total tra i 280 progetti più importanti al mondo.
La multinazionale petrolifera francese ha ceduto alla giapponese Mitsui&Co Ltd il 25% del giacimento Tempa Rossa, facendo entrare i giapponesi nella corsa all’oro lucano; l’accordo, siglato poche ore fa da Mitsui E&P Italia A Srl (MEPIT) e Total, è di quelli milionari da far gola a chiunque tra le “sette sorelle”: il giacimento Tempa Rossa è tra gli onshore meno sfruttati d’Europa e si stima possano essere estratti dai 6 ai 10 miliardi di barili di petrolio di ottima qualità, che si trova sotto lo strato di conservazione più spesso del mondo: 2000m.
La Basilicata si conferma così la terra saudita d’Italia: attraverso la costituzione della controllata Mitsui E&P Italia A Srl (MEPIT) i giapponesi approdano per la prima volta in terra lucana, intenzionati ad avviare un intensivo sfruttamento delle risorse naturali di petrolio greggio e gas naturale e si dichiarano pronti ad investire 1,6 miliardi di euro (comprensivi dei costi non recuperabili).
Se questi sono i costi, c’è da pensare a quali possano essere i benefici. Sono in molti tuttavia a chiedersi come mai Total, concessionaria del 50% del pozzo Gorgoglione dopo la cessione ai giapponesi, la multinazionale Royal Dutch Shell ha anch’essa un 25%, abbia ceduto un pezzo di business così importante: Tempa Rossa, dal 2016, produrrà 50mila barili di petrolio e 230mila metri cubi di gas naturale al giorno.
Entro il 2014, secondo questo documento edito dalla Camera dei Deputati nel 2011, saranno attivati cinque nuovi pozzi (già perforati e testati), l’inizio della perforazione di un quinto pozzo, la creazione di un centro oli, due serbatoi di stoccaggio idrocarburi e di un deposito industriale.
Il tutto in un territorio, ve ne abbiamo parlato il 18 dicembre scorso, fortemente saturo sotto il profilo ambientale.
E’ l’intera regione Basilicata ad essere sotto lo scacco delle estrazioni petrolifere: un territorio ampio e frastagliato, tra i più belli e sconosciuti d’Italia, il nome Basilicata viene pronunciato sempre con un certo mistero; in questa terra, la terra delle valigie di cartone, nonostante il petrolio si continua ad emigrare, a dimostrazione del fatto che i proventi delle multinazionali non vengono reinvestiti sul territorio, sull’occupazione, facendo diventare carne da macello la popolazione, e territorio da bonifica l’intera regione.
MEPIT, la controllata italiana della giapponese Mitsui, ha stimato le sue estrazioni future in 110 milioni di barili di petrolio (13mila al giorno); di interessante però c’è l’attività della multinazionale Mitsui, che non si limita al settore petrolifero.
La multinazionale giapponese spazia dal petrolio all’automotive, dalla chimica all’acciaio fino ai farmaci e al cibo, in un vortice di attività anche fortemente contrastanti tra loro (estrarre petrolio e produrre farmaci, ad esempio): in una regione dove è necessario un “piano aria” nelle zone delle trivelle, dove la comunicazione istituzionale sull’inquinamento è quasi assente, il perpetrare di una logica perforatrice è emblematico di cosa si intenda per approvvigionamento energetico.
Anche perchè se l’alternativa è l’eolico come viene inteso in Basilicata (miriadi di pale ferme erette su creste poco o per nulla ventose o progetti folli di parchi eolici con vista sui Sassi di Matera) allora viene da dare ragione a Vittorio Sgarbi.
Via | Mitsui&Co Ltd