Cronaca ambientale
Fracking e terremoti: per i sismologi statunitensi c’è rapporto di causa-effetto
Secondo i geologi americani il terremoto di magnitudo 5,3 del 22 agosto 2011 a Trinidad fu provocato dal metodo estrattivo che sfrutta la pressione idrica nelle faglie sotterranee
Quello che era solo un sospetto ora ha legittimazione scientifica: i terremoti che si stanno verificando tra New Mexico e Colorado sono provocati dal fracking ovvero dai pozzi di iniezione dell’acqua. A denunciarlo non sono la stampa o le associazioni ambientaliste statunitensi, ma un gruppo di ricercatori dello U.S. Geological Survey che è intervenuto qualche giorno fa alla convention annuale del Seismological Society of America, tenutasi a Salt Lake City.
Per Justin Rubinstein, uno degli artefici assoluti della ricerca, è il fracking la causa dell’aumento del numero e dell’intensità dei terremoti. Alla pericolosità sismica che fino a qualche tempo fa si basava solo e soltanto sui rischi tettonici naturali, si aggiungono ora le cause dell’intervento umano.
Secondo il rapporto del gruppo di lavoro di Rubinstein uno dei più grandi terremoti connessi all’iniezione artificiale di acqua nel sottosuolo è stato quello registrato il 22 agosto 2011 a Trinidad, in Colorado. Quel giorno la scossa di magnitudo 5,3 provocò la frattura di alcuni muri, la caduta di comignoli nel centro storico e l’evacuazione di numerose persone.
Nella regione interessata dallo studio i terremoti hanno avuto un brusco aumento dopo il 2001, cioè due anni dopo l’inizio delle prime pratiche di fracking nella zona. Nel decennio 2001-2011 i terremoti di magnitudo 3 sono stati 20 volte più numerosi rispetto al periodo 1970-2001. Una cifra che evidenzia il peso dell’attività umana e che ha convinto l’USGS ad approfondire le proprie indagini. Anche perché il Governo americano non ha nessuna intenzione di porre fine a questo tipo di pratica, anzi. Per Barack Obama il fracking è una delle strade da percorrere per rendere il proprio Paese indipendente dal punto di vista energetico.
Via | Live Science
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