ENERGIE
Il più grande produttore di carbone del Regno Unito in liquidazione volontaria: è l’inizio della fine?
Uk Coal, la più grande azienda inglese di produzione di carbone, è in lotta per la sua sopravvivenza: dopo il pauroso incendio del marzo scorso nella miniera Daw Mill il gigante ha avviato la procedura di liquidazione volontaria.
Potrebbe essere l’inizio della fine dell’era dei combustibili fossili, o semplicemente un esempio della caducità del business incontrollato attorno al carbone, la clamorosa notizia che vuole Uk Coal, il gigante britannico di produzione di carbone (dal 2011 ha estratto 7.3milioni di tonnellate di carbone, il 5% del fabbisogno elettrico totale dell’intero Regno Unito), in liquidazione volontaria.
Ecoblog ne ha parlato in tempi non sospetti, e le notizie che giungono dalla Gran Bretagna confermano quanto scritto il 12 marzo scorso.
Nonostante l’azienda si rifiuti di parlare di stato patrimoniale disastroso, negando su tutta la linea gli effetti economici del devastante incendio del marzo scorso nella miniera di Daw Mill, lo stato di liquidazione volontaria si lega a doppio filo proprio con quell’incendio, che ha mandato in fumo 100 milioni di sterline di attrezzature, altri 160 milioni di sterline di carbone e ben 32 milioni in costi di gestione: una scure da quasi 300 milioni di sterline (360 milioni di euro) sull’intero business, che ha letteralmente piegato il gigante del carbone britannico.
Per consentire a Uk Coal di continuare l’attività, al fine di evitare dunque una liquidazione forzata e il fallimento, l’azienda ha così deciso di cercare
una vasta gamma di parti interessate
nell’acquisto della compagnia. Ciò che Uk Coal può ancora mettere sul piatto sono le restanti due più grandi miniere del Regno Unito, Kellingsley nel North Yorkshire e Thoresby in Nottinghamshire, più altre sei miniere a cielo aperto tra nord e centro dell’Inghilterra.
Un “tesoretto” che, secondo indiscrezioni, Uk Coal ad oggi non sarebbe più in grado di sfruttare, anche per colpa dell’incendio di Daw Mill, che ha riportato il mercato del carbone alla dura realtà fatta di imprevisti, contrattempi e, sopratutto, sicurezza e tutela dell’ambiente.
Come scrivevamo però erano tutti rischi previsti (o prevedibili): la produzione mineraria è infatti cresciuta fino a 292 Mt nel 1913 per poi calare inesorabilmente nel corso del XX secolo. Nonostante tutte le innovazioni tecnologiche introdotte, gli inglesi non solo non hanno aumentato le estrazioni, ma non sono nemmeno riusciti a tenerle costanti.
I rischi correlati al crollo eventuale di Uk Coal sono enormi, e non legati unicamente ai 2.000 lavoratori che perderebbero il posto di lavoro: i fondi pensione gestiti dall’azienda, i fornitori da pagare, i risparmiatori con quote azionarie (tra cui, in pieno stile anglosassone, proprio i suoi dipendenti), i clienti.
Solo la chiusura di Dow Mill alla fine di marzo ha portato ad un taglio di ben 650 posti di lavoro, corrispondenti ad un egual numero di famiglie del nord Warwickshire rimaste senza più niente: il peggior incendio in una miniera di carbone degli ultimi 30 anni ha letteralmente fatto terra bruciata attorno a sè.
Il crollo di Uk Coal, in tal senso, rappresenterebbe un dramma sociale, ed è proprio partendo da qui che bisognerebbe cambiare drasticamente le politiche energetiche, industriali ed ambientali: la liquidazione volontaria di Uk Coal permetterebbe il trasferimento di 540milioni di sterline di deficit pensionistico dall’azienda all’UK Pension Protection Fund, che salvaguarderebbe stipendi e pensioni dei lavoratori Uk Coal (solitamente al 90%).
In questo senso il vero specchio della crisi di Uk Coal è proprio il sistema previdenziale, il deficit milionario cui l’azienda non riesce a fare fronte: avviata una ristrutturazione importante lo scorso anno, l’azienda sperava di farcela entro il 2015 a rientrare nel deficit, ma l’incendio di Daw Mill del marzo scorso ha rimescolato tutte le carte.
Nel frattempo però le informazioni e le dichiarazioni ufficiali che provengono dal governo britannico fanno capire che questi si è già attivato per tutelare chi rischia di restare senza lavoro e senza futuro (chi dà lavoro ad un ex minatore di 50 anni?): tutti elementi che fanno pensare ad una fine molto vicina, per il carbone di Sua Maestà.