Energia
Il parlamento europeo ha deciso trivellazioni offshore con regole più stringenti, ma…
La commissione Ambiente Salute e Sicurezza Alimentare del Parlamento Europeo una direttiva con regole più strette per le trivellazioni off shore: può essere il primo passo per una tutela dell’Artico?
In seguito alla catastrofe ecologica della Deepwater Horizon, il parlamento europeo lo scorso anno ha avviato una revisione del regolamento per le prospezioni, esplorazioni e produzioni offshore di petrolio e gas. In questi giorni la commissione Ambiente Salute e Sicurezza Alimentare ha dato un parere positivo.
La nuova versione intende porre standard di sicurezza più stringenti a livello europeo, affermando i seguenti principi (emend. 1):
- devono essere intraprese azioni preventive,
- il danno ambientale deve essere risolto prioritariamente alla fonte
- chi inquina deve pagare.
La direttiva rafforza l’atenzione sull’ecosistema artico (emend. 12), richiedendo particolari attenzioni per la protezione dell’ambiente, ma di fatto non pone nessuna limitazione specifica. Come giustamente sottolinea l’Arctic Forum Foundation, la direttiva deve ancora passare al vaglio della ben più potente commissione Industria, Ricerca ed Energia; inoltre è appena il caso di ricorda che quattro nazioni artiche, la Norvegia, l’Islanda, la Groenlandia e la Russia non fanno parte della UE e non sono quindi vincolate dalla direttiva.
Simili preoccupazioni riguardano il mar Mediterraneo; secondo gli ambientalisti di Ola, le nostre acque non saranno affatto tutelate dalla nuova direttiva, che dà di fatto un assenso alle trivellazioni.
L’aspetto più interessante della direttiva è forse l’emend. 13, dove si richiede alle aziende petrolifere di dimostrare di avere i mezzi finanziari, per ripulire i disastri ambientali e per le compensazioni. Questa sorta di “assicurazione ambientale” è lo standard minimo che si è riusciti a strappare ai petrolieri, ma ben altre dovrebbero essere le limitazioni alle attività esplorative e produttive, per evitare per tempo che scoppi la cosiddetta “bolla del carbonio“: i 2/3 delle riserve fossili sono di fatto non bruciabili se si vuole mantenere l’aumento di temperatura entro i 2°C.