Pasta a rischio, i cambiamenti climatici spingono le coltivazioni verso nord
Secondo il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) i cambiamenti climatici spingono le coltivazioni di frumento duro sempre più a nord: è la fine della pasta?
Pasta italiana? Prepariamoci a dirle addio, almeno stando all’allarme lanciato dal Cnr: i cambiamenti climatici nell’area mediterranea infatti starebbero spingendo le coltivazioni di grano duro sempre più verso nord, mettendo a rischio la produzione della pasta made in Italy: 4,2 milioni di tonnellate di frumento, dato Coldiretti, che rischiano di sparire completamente dallo stivale.
Certo, affermare che “la pasta italiana è a rischio” è leggermente un azzardo, visto e considerato che, sempre secondo Coldiretti, l’Italia è dipendente dalle colture estere per il 40% del proprio fabbisogno di grano duro: insomma, italiana si, ma la pasta è sempre più internazionale.
Il cambiamento climatico sta rendendo l’area del Mediterraneo sempre più inospitale per la coltivazione del frumento che, spinto sempre più a Nord, sperimenterà agenti patogeni e condizioni ambientali differenti.
ha dichiarato Domenico Pignone, dell’Istituto di genetica vegetale del Cnr di Bari. Un tema, questo, che sarà trattato ampiamente nel convegno, in programma a Roma dal 27 al 30 maggio, dal titolo “Genetics and Breedings of Durum Wheat”, organizzato proprio dal Consiglio nazionale delle ricerche.
Una delle fonti primarie di calorie e proteine per gran parte dell’umanità, li grano duro, sarebbe così inevitabilmente costretto ad emigrare verso ambienti mitteleuropei, un po’ come sta già avvenendo per le uve da vino: un tempo, fino ad un secolo fa, l’Algeria era il paese con la maggior produzione vinicola al mondo.
Con l’emigrazione del grano duro la produzione della pasta, uno dei componenti fondamentali della dieta italiana, inserita dall’Unesco nel patrimonio culturale immateriale dell’umanità, rischierebbe così di dipendere sempre più dalle importazioni, con gravi ricadute anche per la nostra economia: lo psicodramma culturale invece, senza pasta e senza vino la dieta mediterranea non va rivista ma letteralmente rivoluzionata, avrebbe risvolti culturali e sociali decisamente misteriosi: come avvenne con la seta, o la canapa (anche se in questo caso la rivoluzione fu politica), da Paese produttore l’Italia rischia di diventare totalmente importatore.
E’ necessario mettere a frutto strategie di miglioramento genetico tali da permettere lo sviluppo di un prodotto di qualità, in grado di dare produzioni sostenibili nell’ambito dei nuovi scenari.
ha spiegato Pignone. Un’allarme che però Barilla respinge parzialmente al mittente: leader mondiale nella produzione di pasta (trasforma in mezzepenne e spaghetti circa 1.400.000 tonnellate di grano duro l’anno), Barilla sottolinea che la ricerca e la selezione delle varietà di frumento, messe in campo dal colosso della pasta, hanno prodotto risultati interessanti:
Attraverso gli incroci varietali, insieme a Produttori Sementi Bologna, abbiamo sviluppato varietà di grano con caratteristiche adeguate ai diversi climi lungo il Paese. […] Barilla fornirà agli agricoltori aderenti ai propri contratti di coltivazione, sistemi di supporto alle decisioni, come granoduro.net, in grado di consigliare le pratiche agronomiche più adatte a gestire gli andamenti climatici delle diverse campagne.
Varietà come il Normanno, resistente alle basse temperature (molto coltivato in zone produttive come l’Emilia), o l’Aureo, un grano di qualità eccellente coltivato nel sud Italia in climi decisamente caldi, hanno già prodotto notevoli risultati: il primo ha raddoppiato la produzione in Emilia, grazie anche ad un accordo siglato tra la Regione e Barilla, mentre il secondo ha sostituito alcune importazioni da zone desertiche degli Stati Uniti. Su questa linea si è posto anche il Cnr, come spiegato da Pignone:
I prodotti a base di frumento che mangiamo oggi sono frutto del miglioramento genetico cui il cereale è stato sottoposto, prima in maniera non scientifica dagli agricoltori, poi in modo più rigoroso.
Solo sei anni fa, scriveva Ecoblog, Barilla “accusava” il clima, e Bush, dell’aumento dei prezzi della pasta (che, all’epoca, fecero scalpore, crescendo di oltre il 15% nel giro di 10 mesi).
Via | Consiglio Nazionale delle Ricerche
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