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The Human Scale, le città che abbiamo modellato ora modellano noi

Un documentario tecnicamente e contenutisticamente ineccepibile che (di)mostra come la vita di più della metà della popolazione mondiale sia condizionata dalla struttura delle città

Dal 2010 più della metà della popolazione mondiale vive in aree urbane un numero destinato a salire fino all’80% entro il 2050. Ma l’umanità è pronta ad affrontare questa concentrazione? E, soprattutto, come questa concentrazione e la conformazione urbanistica del territorio condizionano la vita delle persone?

Il documentario The Human Scale diretto dal danese Andreas M. Dalsgaard ha una guida d’eccezione, l’architetto Jan Gehl, che da più di quarant’anni studia l’evoluzione del comportamento umano cittadino. Il film è diviso in cinque capitoli ed è un affascinante trattato di sociologia che sconfina nell’urbanistica e nella filosofia.

1) Prima noi formiamo le città, poi sono loro a dare una forma a noi.

L’esempio sono le nuove metropoli cinesi. Negli ultimi 25 anni l’abbandono delle campagne e la concentrazione nelle città ha fatto sviluppare in maniera esponenziale le città della Cina, facendo cambiare le abitudini dei suoi abitanti. Gli hutong, gli stretti vicoli commerciali sono stati spazzati via dalle grandi vie di comunicazione, privando la popolazione dei luoghi di ritrovo deputati allo sviluppo della socialità. Inoltre lo sviluppo orizzontale ha moltiplicato in maniera esponenziale il fenomeno del pendolarismo, erodendo il tempo libero e le possibilità di incontro. Invece di favorire la socialità, le città la annichiliscono.

2)  Misuri solo ciò che ti interessa.

Per buona parte del Novecento l’urbanistica ha pensato le città in funzione delle automobili, ma alla fine del secolo scorso qualcosa è cambiato. Copenaghen, per esempio, ha rivoluzionato la propria struttura urbana pedonalizzando le vie del centro storico e aprendo numerose piste ciclabili. Che cosa è successo? La pedonalizzazione e la ciclabilità, la creazione di piazze per le persone e non per le auto hanno creato occasioni di incontro sviluppando la vita pubblica, una cittadinanza matura e una mobilità orientata sulla bicicletta (il 35% degli spostamenti avviene in bicicletta e il 24% con mezzi motorizzati). È un caso che Copenaghen sia sempre in testa a tutte le classifiche sulle capitali più vivibili del mondo? La stessa trasformazione è avvenuta a New York, metropoli che per un secolo è stata costruita solo e soltanto in un’ottica motoristica e che ha iniziato a cambiare quando l’amministrazione ha deciso di pedonalizzare alcuni tratti di Broadway e di allestire piste ciclabili. Risultato? Il 74% della popolazione si è detta contenta dei cambiamenti e gli incidenti stradali sono diminuiti del 63%.

3)  Come fare di più con meno.

Siena è la città ideale. Tutte le città costruite per spostamenti a 5 km/h (pedonali) permettono di percepire odori, dettagli e sensazioni che non si possono cogliere viaggiando a 60 km/h. Queste esperienze, ripetute quotidianamente nel corso della nostra vita, hanno un’incidenza fortissima sulla qualità della vita. Nel 2050 la popolazione urbana toccherà i 6,5 miliardi di persone e a quell’appuntamento bisognerà arrivarci con una nuova visione. Negli ultimi decenni un miliardo di cinesi ha abbandonato le campagne per insediarsi nelle città, una trasformazione radicale della quale solo ora qualcuno inizia a pentirsi. In questo periodo di crisi non abbiamo né il tempo, né le risorse economiche per allestire le infrastrutture in grado di far funzionare le Gigacittà da 50 milioni di abitanti del futuro. Bisogna, dunque, imparare a fare di più con meno, come a Melbourne, per esempio, dove i vicoli malfamati dove vent’anni fa c’erano soltanto bidoni della spazzatura, ora sono diventati luoghi di ritrovo e di locali trendy. 

4) Cammini verso il caos che tu stesso hai creato.

Continuare a costruire le città con le logiche motoristiche del XX° secolo è insostenibile. L’esempio è Dacca, città che, ogni anno, accoglie mezzo milione di nuovi abitanti, con problemi di sovrappopolazione dovuti a una crescita non controllata. E imbottigliamenti nel traffico che sembrano gironi danteschi.

5) Costa poco essere gentili con gli altri.

L’ultimo capitolo dimostra come una pianificazione partecipata e un’amministrazione capace di ascoltare le esigenze della propria cittadinanza possano cambiare la vita delle persone. L’esempio è Christchurch, cittadina distrutta da un terremoto e successivamente ricostruita ascoltando i suggerimenti dei suoi abitanti e… della natura. Gli edifici alti al massimo sei piani sono progettati per motivi di sicurezza ma favoriscono maggiormente la socialità. Questo perché più i palazzi sono alti, maggiori sono gli ostacoli alla socializzazione.

Un documentario magnifico del quale potete gustare un’anteprima sul sito ufficiale. Prima di studiare cinema il regista Andreas M. Dalsgaard si è laureato in antropologia sociale e dopo aver visto The Human Scale non abbiamo dubbi che i suoi voti fossero molto, ma molto alti.

Foto| Cinemamabiente

 

 

 

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